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sabato 28 dicembre 2013

Un augurio speciale

Un Natale pieno di gioia e soddisfazione quest'anno grazie ai tanti auguri che voi, cari amici, mi avete mandato in posta privata; qui di seguito ne riporto alcuni,  anche se mi piacerebbe citarli tutti, cosa davvero impossibile, credetemi, per il vasto, meraviglioso numero :-) ...  Parole di affetto, e ammirazione hanno riempito questo mio Natale  di felicità e non posso che  ricambiarle con un immenso GRAZIE ed un abbraccio caloroso che arriva direttamente dal cuore!
 Joe Lake




Simpaticissimi Auguri da Emiliano D'Alessandro 



Auguri da Libera il Libro

Auguri da Edizioni Del Faro, la mia favolosa casa editrice :-)


martedì 24 dicembre 2013

Merry Christmas!!

A tutti i cari amici e lettori un  grazie per avermi seguito ed apprezzato fino ad ora, per le vostre parole di elogio, per i vostri consigli e bei commenti riguardanti il mio ultimo romanzo, ricevuti nei vari siti, per il vostro sostegno ed il calore con il quale me l'avete esperesso a tutti voi auguro: BUON NATALE e un FELICE ANNO NUOVO!

Con affetto ...

Joe Lake




martedì 17 dicembre 2013

I primi quattro magnifici capitoli di 'Il Teschio di Baphomet'







1

Isaac Tutuola abbassò il pulsante sulla sinistra della cassa, tirò fuori parzialmente la cartuccia e regolò il pulsante sulla superficie. Poi girò la piastra rotante sulla destra e aspettò che comparisse il primo buco. Spinse la grappa verso sinistra, sul fondo, e vide comparire il secondo. Si aggiustò la pesante montatura degli occhiali sul naso e si sganciò la collana d’oro dal collo. Fissò la chiave dorata oscillare nell’aria prima che quest’ultima battesse contro il ciondolo d’oro. Poi allontanò il ciondolo con l’indice e infilò la parte frontale della chiave nell’apposito foro con un angolo di 45 gradi. Girò la chiave di 90 gradi sulla destra, in modo che questa risultasse orizzontale e la inserì fino in fondo per sbloccare il carrello. Il lucchetto scattò e la porta si aprì.
Non ricordava chi gli aveva dato quel complicato lucchetto coreano tradizionale, ma sentiva di doverlo usare in ogni posto dove andava.
Il bilocale al terzo piano di via Anelli puzzava di  chiuso, uova fritte e piscio. Qualche altro nigeriano l’aveva abitato prima di lui, ipotizzò Isaac Tutuola, spalancando la portafinestra che dava sulla terrazza. La luce del pomeriggio illuminò gli scarafaggi correre all’interno dell’intonaco scrostato. Il linoleum giallastro del pavimento era rigonfio e quattro materassi erano accatastati in un angolo.
Isaac Tutuola si riagganciò la collana al collo e uscì in terrazza,  respirando l’aria a pieni polmoni.
Abeokuta, la sua città natale, gli mancava. Era stata fondata nel lontano 1825 per sfuggire ai cacciatori di schiavi. Tribù diverse si erano unite in quella splendida pianura per vivere liberi e protetti dalle enormi mura di fango che circondavano la zona per miglia.
Chiuse gli occhi e sentì il profumo del cacao penetrargli le narici. I suoi genitori lo coltivavano, mentre lui correva nella fertile pianura dai massi di granito grigio. Poteva sentire il tam- tam ipnotico dei tamburi Yoruba. La sua etnia era formata da schiavi che mescolavano le tradizioni cattoliche con le credenze Voodoo. I potentissimi sonagli gong potevano risvegliare gli spiriti maligni se suonati da mani inesperte. Lo stregone del suo villaggio lo ripeteva continuamente.
Isaac Tutuola tirò le sue labbra carnose, lasciando comparire una fila di denti bianchissimi. Non credeva più a quelle fesserie. Aveva studiato presso l’Esercito della Salvezza e poi all’università di Ibadan, la seconda città della Nigeria. La sua specializzazione in culture antiche lo portava a deridere certe superstizioni, ma ricordava quelle cerimonie con nostalgia.
Il clic di un coperchio lo fece voltare di scatto.
Una giovane donna era alle sue spalle con un piede posato contro il muro e la vestaglia di seta rosa che le lasciava scoperte le cosce color avorio.
Isaac Tutuola si aggiustò la pesante montatura nera sul naso. La sua innata timidezza gli impediva di parlare.
La donna ruotò la pietra focaia dell’accendino, si infilò una sigaretta tra le labbra e  lo guardò con i suoi profondi occhi blu.
<Vuoi?> Gli chiese, allungandogli il pacchetto oltre la ringhiera che divideva le terrazze dei due appartamenti.
Isaac Tutuola rispose di no con la testa.
La donna si infilò il pacchetto tra l’elastico degli slip ed espirò il fumo dalle narici. <Sei nuovo?> Gli domandò, stringendo la sigaretta tra le unghie smaltate di rosso.
Isaac Tutuola fissò l’ombra del suo cranio rasato accennare un sì di risposta.
La donna strinse la sigaretta tra le labbra rosate, prese una boccata di fumo e accennò un sorriso. <Hai anche un nome?> Continuò, ritornando seria.
<Isaac>. Si presentò lui, lisciandosi i fianchi dell’enorme giacca classica che lo faceva sembrare un attaccapanni malconcio. <Isaac Tutuola. Piacere>. Gli allungò la sua mano nero carbone.
La donna guardò all’interno del suo appartamento, spostando i suoi folti capelli rossi sulle spalle. Poi ritornò con lo sguardo su Isaac.
<Isaac>. Ripeté lei in tono carezzevole. <È un nome ebreo>. Disse lei.
<I miei genitori erano di religione cristiana>. Le spiegò lui, allentandosi il collo della camicia ereditata da uno di quei centri per l’accoglienza dei poveri disperati.
<Possa Dio ridere>. Mormorò lei, mentre contemplava il filtro della sigaretta.
<Come scusi?> Domandò Isaac, strofinandosi i palmi delle mani contro i pantaloni classici di due taglie più larghi.
<Isaac significa: Possa Dio Ridere>. Ripeté lei, assorta.   
Isaac scosse la testa. Conosceva il sanscrito, l’ebraico, il greco e la maggior parte delle lingue europee alla perfezione e non si era mai soffermato sull’etimologia del suo nome. Era un significato poco adatto al suo carattere serio e pacato, amava stare da solo, in silenzio, ma questo certo i suoi genitori non potevano saperlo a priori.
<E Lei come …>. Cominciò a dire, prima che il campanello suonasse.
La donna spense la sigaretta con il tacco a spillo. <Nika>. Rispose, prima di rientrare nell’appartamento.
Il campanello suonò di nuovo.
<Nika>. Ripetè Isaac Tutuola rimanendo qualche secondo con la bocca aperta. Poi si voltò verso la porta del suo appartamento. Qualcuno bussava animatamente.
<Isaac?> Gli chiese un cinese, appena lo vide aprire la porta. <Isaac Tutuola?> Si assicurò di essere nel posto giusto. 
Isaac annuì con la testa più volte.
<Quello che hai oldinato>. Gli disse, allungandogli un sacchetto di carta con la scritta ‘Supermercato Sun‘.
 
Isaac lo ringraziò con una banconota da dieci euro. Prese il sacchetto e lo posò sul pavimento. Non aveva altro, se non quei due soldi che l’università gli aveva prestato. Era senza passaporto, senza bagaglio e le sue amnesie ricominciavano a dilaniarlo.
Com’era salito in quel barcone?
Si massaggiò le tempie per allentare la pressione.
Era in Libia. Questo lo ricordava ancora. Un collezionista l’aveva contattato per analizzare un antico teschio in suo possesso. Le scritte, secondo il collezionista, facevano pensare che fosse la testa di Baphomet, l’idolo adorato dai Cavalieri Templari. A  Tripoli soffiava un vento leggero. L’appartamento del collezionista era sottosopra. Un biglietto gli diceva di partire per l’Italia al più presto. L’Università di Padova aveva un testo interessante da consultare. L’imbarco era previsto nel pomeriggio.  Isaac fissò il bagaglio scorrere sul nastro trasportatore dell’aeroporto libico,  poi tirò fuori visto e passaporto dalla tasca della giacca.
Il sudore gli rigò la fronte. Andò in bagno, posò le mani sui pomelli del rubinetto e aprì l’acqua. I muscoli del collo si irrigidirono e Isaac indietreggiò di un passo. Il rumore dell’acqua che si infrangeva sul lavandino gli ricordò quello delle onde contro il barcone.
Sentiva le urla delle donne e il ciondolo d’elefante attorno al collo gli premeva contro la pelle. Era  supino con la guancia destra sul pavimento. Tentò di rialzarsi, ma non c’era spazio per muoversi. Un neonato gli sorrise, stretto tra le braccia di sua madre.
L’acqua del rubinetto continuava a scorrere e lui a indietreggiare.
Un colpo. Il barcone si capovolse. L’acqua gli penetrava dappertutto. Sentì alcuni uomini indicare qualcosa e li seguì.
<Diventerai un uomo saggio e giusto. Usa il tuo cuore e il grande elefante ti guiderà>. Gli profetizzò lo stregone del suo villaggio, prima che partisse per Ibadan.
Vide il corpo del neonato spaccarsi in due, sbattendo contro le gabbie dei tonni. A poco a poco la gente lasciava la presa, stremata. Passarono quindici giorni prima che un barcone di pescatori lo trovasse. Aveva  il corpo quasi totalmente immerso, le gambe paralizzate e la pelle raggrinzita, quando gli uomini lo videro. La medaglietta del grande elefante bianco era impigliata nella gabbia e il luccichio dell’oro misto all’avorio attirò i marinai verso di lui.
Il sudore gli colò sugli occhi. La visione dell’acqua gli era intollerabile. Indietreggiò ancora e inciampò contro il sacchetto del supermercato cinese. Crollò a terra stordito. Poteva ancora sentire i rulli di tamburo del suo villaggio. Un gallo era tenuto a testa in giù.  Vedeva le donne raccogliere il sangue che usciva dal collo dell’animale e offrirlo ai loro figli.
Il santone Okuimose impastò la statuetta del grande elefante con farina, uova e sangue, la fuse con il bronzo, l’oro e un frammento di zanna dell’unico elefante bianco visto in Nigeria. Poi la inserì in un sacchetto di pelle avvolto in diversi colori e gliela porse.
<Ne avrai bisogno>. Gli assicurò il santone con la bocca sporca di sangue.  Il cervello del suo nemico rosolava nel fuoco, mentre Okuimose beveva il suo sangue raccolto in una ciotola.
Isaac Tutuola emerse dal trance, chiuse il rubinetto e cercò la confezione di fazzoletti rinfrescanti tra quelle scritte in cinese. Nulla. Il negoziante non aveva capito. Girovagò per  il bilocale alcuni minuti, poi aprì la porta e scese le tre rampe di scale fino all’uscita.
Il negozio Sun stava per chiudere.  Isaac Tutuola allungò il passo ed entrò prima che la cassiera abbassasse la saracinesca. I prodotti erano tutti scritti in cinese. La cassiera gli indicò l’ultimo scaffale in fondo. Isaac Tutuola ispezionò le scatole cercando di capire in quale potevano esserci i fazzoletti rinfrescanti.
Il proprietario stava discutendo con un paio di uomini nel retrobottega.
Isaac Tutuola prese una decina di scatole, alcune birre e le posò alla cassa.
Uno degli uomini puntò una pistola alla testa del proprietario, mentre l’altro gli intimava qualcosa in un italiano stentato. Il negoziante cinese uscì dal retro bottega con le mani alzate. Scuoteva la testa e  indicava la cassa.
Uno dei due rapinatori guardò verso Isaac Tutuola.
La cassiera azionò l’allarme e si gettò a terra. Un rapinatore colpì il cinese alla testa, facendolo crollare sul pavimento, mentre l’altro diresse la pistola verso la cassa.  Nella sua traiettoria trovò Isaac Tutuola immobile come una statua.
Quattro colpi risuonarono nell’aria.



2

<Che cazzo è successo?> Chiese l’ispettore Amadeus Falco all’agente scelto Marco Zaghetto.
<Non lo so signore>. Rispose il sottoposto, accompagnando l’ispettore lungo una delle due corsie del supermercato. <Il proprietario, Mo Yan …>.
<Ma se il supermercato si chiama Sun?> Lo interruppe l’ispettore Amadeus Falco.
L’agente scelto Marco Zaghetto si grattò la testa, perplesso.
<Plimo plopletalio Sun, adesso negozio di Mo Yan>. Cercò di spiegare la cassiera cinese, mentre il medico finiva di medicare il proprietario.
L’ispettore Amadeus Falco accartocciò le labbra in segno di stizza. Aveva seguito un corso di scrittura cinese e sapeva che il nome Mo Yan non portava nulla di buono. <Mo Yan>. Ripeté a sé stesso. <Colui che non vuole parlare>. Tradusse a bassa voce.
<Come signore?> Chiese l’agente scelto Marco Zaghetto. L’ispettore guardò il suo sottoposto, sorvolando la questione con un gesto della mano. <Lei cosa ha visto?> Gli chiese, indicando la cassiera con il mento.
<Niente signore>. Assicurò l’agente scelto. <Era sotto il bancone quando hanno sparato>.
<Il cinese invece?> Indicò Mo Yan seduto su di una sedia con la testa bendata.
Marco Zaghetto fu costretto a scuotere di nuovo la testa. <Dice che il colpo alla testa l’ha fatto cadere sul pavimento svenuto e quindi non ha visto nulla>.
L’ispettore Amadeus Falco accartocciò di nuovo le labbra e fissò i rapinatori rannicchiati in un angolo come due cani terrorizzati. Tenevano la testa rivolta verso l’alto, gli occhi sgranati e ripetevano a pappagallo la parola Mama.
Amadeus Falco si lisciò i baffi con pollice e indice fino ad affondarli nel folto pizzetto del mento. Era stato svegliato in piena notte e non aveva avuto il tempo di accorciarlo. Quei due bastardi gli avevano fatto passare settimane d’inferno. Avevano terrorizzato Lombardia, Friuli Venezia Giulia e mezzo Veneto, costringendo la polizia a turni raddoppiati. Era gente spietata. Entravano nel luogo scelto, chiedevano il denaro e, al primo rifiuto, lasciavano le vittime a marcire sul pavimento, cadaveri. Nessun testimone, nessun indizio, solo due sagome nere con i volti coperti che entravano e uscivano dai luoghi rapinati. Le telecamere di sorveglianza, quando c’erano, non mostravano altro.
Che cazzo li ha ridotti così? Si domandò mentalmente l’ispettore, mentre i suoi occhi castano verde squadravano i corpi di quei due bastardi ondeggiare con il tronco del corpo avanti e indietro.
<Condizione catatonica associata a deliri di controllo e di inserzione del pensiero. I soggetti pensano di essere controllati da un’entità esterna e che quest’ultima gli inserisca pensieri non propri nella testa>. Fu la diagnosi che il Dottor Giuseppe Armani fece all’ispettore. <Se fossi in Lei non li lascerei senza sorveglianza nei prossimi giorni. Il rischio di suicidio è alto>.
Amadeus Falco si avvicinò ai due rapinatori, ne afferrò uno per la maglia e lo sollevò di peso dal pavimento. Ricordava ancora il corpo di quel quattordicenne che avevano soffocato nella sua villa di Brusegana. Il naso e la bocca gli erano stati strappati con il nastro adesivo, mentre la madre galleggiava nella piscina. La voglia era quella di lasciare che si impiccassero con il lenzuolo della cella, ma la reputazione del corpo di polizia era più importante; fece un respiro profondo e lo fissò negli occhi.
<Daniel Bailar. 28 anni, rumeno. Ricercato per pluriomicidio dalla polizia rumena>. Lo informò l’agente scelto Marco Zaghetto, allungandogli il mandato di cattura.
Amadeus Falco attorcigliò il colletto della maglia del rapinatore intorno al suo pugno. La merda arrivava in Italia con la velocità di un fiume in piena. Uno stronzo di avvocato, un paio di ritardi e quel bastardo sarebbe stato fuori per prescrizione. L’Italia puzzava come una fogna a cielo aperto e lui non poteva farci nulla.
<Ispettore?> Lo scosse il suo sottoposto. <Ispettore?> Proseguì, fissando il viso paonazzo di Daniel Bailar.
Amadeus Falco continuò a stringere. Sentiva la rabbia salirgli alla gola e insistette nell’arrotolare il collo della maglietta di quel figlio di puttana.
Daniel Bailar non opponeva resistenza, teneva la bocca aperta, respirava a fatica, ma sembrava totalmente ignaro di quello che gli stava accadendo. <Mama. Mama>. Era l’unica parola che ripeteva ininterrottamente.
<Ispettore?> Gli si avvicinò il Dottor Giuseppe Armani, stringendogli il polso. <Non comprometta la sua carriera, ispettore>. Gli consigliò, mentre con il mento accennava a un paio di giornalisti piazzati contro la vetrina del negozio.
Amadeus Falco mollò la presa, afferrò il mento del rapinatore e gli spostò il collo di lato. Il medico scostò i capelli del rapinatore dalle tempie e ispezionò il ferro che gli penetrava la pelle.
<Che cazzo è?> Gli chiese Amadeus Falco.
Le dita inguantate del Dottor Giuseppe Armani sfiorarono le tempie dell’uomo. <Sembra una lobotomia piuttosto rudimentale>. Si stupì di non averlo notato prima.
Due campanelle di ferro emergevano appena dalle tempie di Daniel Bailar. Amadeus Falco controllò il cranio del secondo rapinatore. La scoperta fu la stessa.
<Chi gliele ha messe? Tu?> Si affrettò a urlare contro Mo Yan ancora fermo sulla sua sedia.
Il cinese fece di no con la testa.
<Chi allora?> Continuò l’ispettore nervoso.
Mo Yan sollevò i palmi delle mani in aria.
Amadeus Falco guardò la cassiera. Era troppo esile e distante per aver aggredito i due rapinatori. Una  pallottola aveva frantumato la sirena del soffitto, ma la maggior parte  era stata scaricata verso la vetrata del negozio. Il bancone di legno era intatto, constatò l’ispettore.
<Chi altro c’era nel negozio?> Urlò Falco ai due cinesi, fissando il foro di una pallottola alto nel muro. <Chi cazzo è Mama?>
Mo Yan come diceva il suo nome, non voleva parlare, imitato dalla cassiera.
<Musi gialli di merda>. Borbottò Amadeus Falco, sputando sul pavimento. Poi, rivolgendosi ai suoi uomini. <Controllate questi stronzi. Passaporti. Visti. Fornitori. Qualsiasi cosa li possa sbattere al fresco>. Ordinò con un filo di voce.
Il Dottor Giuseppe Armani lo fermò all’uscita. <Bisogna ricoverarli>. Gli disse senza farsi intimorire dallo sguardo glaciale dell’ispettore.
<Mi dica da dove provengono quelle ferraglie nelle tempie>. Annuì l’ispettore, uscendo dal negozio.
Un vento fresco aveva abbassato la temperatura di qualche grado. Amadeus Falco non era caloroso. La sua eccessiva magrezza lo faceva assomigliare ad un pioppo palestrato. Si aggiustò la giacca della divisa e analizzò la zona con un unico colpo d’occhio. Aveva preso i due rapinatori più bastardi delle tre Venezie, il caso si poteva considerare chiuso, eppure la sua innata ricerca dell’ordine lo portava a non essere soddisfatto. Strinse il colletto della cravatta e chiamò l’agente scelto Marco Zaghetto. <Fatti dare il nastro di quella telecamera>. Gli ordinò, salendo nella volante che lo avrebbe accompagnato a casa. <Forse sapremo chi ha ridotto così quei bastardi>.
Marco Zaghetto acconsentì con un cenno della testa.
<Sul mio tavolo, domattina>. Furono le ultime parole dell’ispettore prima di chiudere il finestrino della volante.
L’agente scelto vide l’auto svoltare a sinistra, si voltò verso il supermercato cinese e spazzò via un paio di frammenti della vetrata con il tacco della scarpa. All’ora della rapina i negozi della zona avevano già chiuso. Tutti gli interrogati non avevano visto nulla di sospetto. ‘Gli spietati del Triveneto ’, come li aveva battezzati la stampa locale, erano sotto sorveglianza in ospedale e lui doveva rintracciare il fottuto proprietario di una telecamera di sorveglianza.
Prese una lattina di birra cinese fregata al negozio e ingurgitò un po’ di liquido in gola.
Il gusto di sapone che gli rimase in bocca gli fece passare la voglia di finirla, gettò il contenitore a terra e lo schiacciò con il tacco della scarpa, notando uno strano luccichio provenire dai buchi di un tombino. 



3

Todos aquellos guerreros                    
que a mi cultura pasaron

Obatalá Las Mercedes,
Ochún es la Caridad,
Santa Bárbara Changó
y la Regla es Yemayá,


va a empezar la ceremonia
vamos a hacer caridad

La casa está repleta y ya no caben más,
y todos se preguntan qué dirá Elegguá


Cantava il guardiano delle porte Atocha con il suo gancio ricurvo in mano, mentre apriva il cammino agli uomini. Le gonne della dea Yemayà ruotavano sulla sua testa. Il suo corpo si piegava in avanti ed emergeva verso l’alto come la spuma dell’oceano.
Un barrito si alzò dall’orizzonte.
I tamburi batà aumentarono i loro tam tam.
Il grande elefante bianco si avvicinava con il suo branco.
Isaac Tutuola sentì il cuore pulsargli in gola.
Il dio Ochosi tese il suo arco verso il grande pachiderma. Le mani affusolate dei suonatori picchiavano i tamburi veloce, sempre più veloce. Il dio Ochosi scoccò la freccia e trafisse il cuore del grande elefante bianco.
Isaac Tutuola sollevò la schiena dal materasso e si portò le mani al petto.
Nell’appartamento di fianco qualcuno stava litigando. Isaac Tutuola si inforcò gli occhiali, guardò gli altri materassi appoggiati alla parete, si alzò e prese una birra dal frigorifero. Odiava sbronzarsi, ma quel malto fermentato riusciva a calmargli l’agitazione.
Le urla dei vicini non cessavano.
Isaac Tutuola guardò l’orologio della cucina. Erano le sei del mattino e quella gente non accennava a smettere. Si infilò l’abito del giorno prima e appoggiò l’orecchio destro alla parete.
<Lurida puttana>. Urlava un uomo, battendo i pugni su di un tavolo. <Voglio la mia roba, hai capito?>
La donna rispondeva con dei singulti interrotti da urli di paura.
<Te la sei fatta tutta>. Continuò l’uomo, facendo cadere degli oggetti sul pavimento.
La donna urlò con più forza, mentre si sentiva che stavano cambiando stanza.
<Ecco cosa è rimasto>. S’infuriò l’uomo.
Colpi furiosi si sentivano sbattere contro il muro. La donna si lamentava. Isaac Tutuola sentì della gente gridare dalle terrazze degli altri piani.
<Che cazzo volete piezzi di mierda?> Li insultò l’uomo, uscendo all’esterno con un fucile sotto il braccio.
<Basta!>
<Vogliamo dormire!>
<Chiamiamo la polizia!> Rispondeva il vicinato.
Isaac Tutuola squadrò l’uomo dalle fessure della tapparella. Indossava una camicia verde pistacchio sbottonata fino all’ombelico che gli esaltava il pallore della pelle tipica degli albini. L’uomo guardò verso le persiane chiuse dell’appartamento di Isaac. L’iride rossiccia era evidenziata dal biancore delle sopracciglia.
Isaac Tutuola si ritrasse.
Un paio di colpi perforarono le sue tapparelle e si conficcarono nel muro della cucina.
<Ecco. Vanbracno dijete>. Disse l’albino nella sua lingua, abbassando il fucile.
Isacc Tutuola si avvicinò di nuovo alle tapparelle e osservò Nika avvicinarsi all’albino. Sembrava stesse bene.
<Odjebi! Nieri di merda>. Urlò l’uomo, sollevando il fucile sulla testa. <Non rompiete il culo a Ivan Matvejević>. Minacciò, mentre un’altra donna lo fissava in lacrime dalla portafinestra.
Isaac Tutuola adocchiò il sangue che le usciva da un taglio sulla fronte. La donna non riusciva a reggersi in piedi, appoggiò la schiena alla finestra e scivolò fino al pavimento.
<Bisogna portarla in ospedale>. Consigliò Nika all’albino, afferrandogli un braccio.
L’uomo abbassò il fucile e si divincolò dalla presa di Nika. <Porta tu>. Ordinò, sollevando le spalle. Poi entrò nell’appartamento e non si sentirono altri rumori.
Isaac Tutuola fissò le pallottole conficcate nel muro della sua cucina. Tre in tutto e una aveva mandato fuori uso il frigorifero.
<Addio bevande fresche>. Balbettò, facendosi il segno della croce. Poi s’infilò i calzini e le scarpe, si tolse la collana dal collo e infilò la chiave nell’antico lucchetto coreano. Uscì dall’appartamento, badando bene di azionare il rudimentale, ma efficacissimo antifurto asiatico prima di abbandonare  l’edificio.




4

<Ha  letto i giornali?>
Amadeus Falco si tolse l’auricolare dall’orecchio destro e girò la testa verso il finestrino abbassato della Lamborghini Gallardo che lo stava affiancando.
<Vice questore Fournier>. Lo salutò l’ispettore Falco, continuando il suo jogging mattutino.
La Lamborghini Gallardo lo seguì nella corsa. Amadeus Falco imboccò via Vivaldi. Il quartiere dove viveva era un posto tranquillo della periferia. Aveva scelto di comprare quella villetta a schiera dopo un attento esame della zona. Poco traffico, spazi verdi, aria freschissima. Una piccola Hollywood fatta di gente benestante che si faceva i propri affari.
<Allora li ha letti?> Ripeté il vice questore Fournier, distraendolo dai suoi pensieri.
Amadeus Falco lanciò un’occhiata al giornale che il vice questore gli stava allungando e lesse il titolo, mentre svoltava per via Paganini.
 
Polizia scioccata. Banda di  feroci rapinatori sgominata da ignoto Supereroe.

<E non è l’unico>. Assicurò il vice questore, mostrandogli la pila di giornali che aveva sul sedile. 

Supereroi  solo americani?  La polizia si può riposare; ora anche il Nord Italia ha il suo eroe sconosciuto.
                                               Il Resto del Carlino

Polizia di Padova  incredula. I ‘Rapinatori del Triveneto’  sgominati da un eroe della notte. Unico indizio il nome pronunciato da un rapinatore: ‘Mama’.    
                                              Il mattino


 Mistero sull’ignoto Mama che salva il Nord Italia dai rapinatori. 
                                               Il Giornale

Gli lesse il vice questore Fournier, prima di sbatterli sul sedile dell’auto. <Chi cazzo è questo Mama?> Gli chiese con voce alterata. <Il commissario Speranzoso è andato all’ospedale a interrogare quei figli di puttana>. Lo informò, dequalificando il suo ruolo di ispettore. <Il medico ha detto che dovevano operarli alla testa, ma una volta arrivati in sala operatoria, non c’era più niente da operare. I pezzi di ferro …>.
<Campanelle>. Precisò Amadeus Falco, nascondendo la rabbia che gli bruciava dentro.
<Cosa?> Chiese il vice questore.
<Erano due campanelle>. Continuò l’ispettore.
<Okey. Quello che erano>. Tagliò corto il vice questore Fournier. <Comunque erano scomparse. Svanite. Anche la TAC al cervello non ha mostrato nulla e quei due cazzoni continuavano a ripetere quel nome. Mama, Mama. Elefante. Mama>. Gli ricordò. <Chi è questo Mama, un domatore del circo?> S’incazzò.
Amadeus Falco imboccò via Paolo IV senza dire una parola. I suoi piedi si alzavano e battevano sull’asfalto ritmicamente. Sentiva la frescura del mattino accarezzargli i polpacci. Il cuore gli pompava nel petto con la frequenza di un muscolo allenato, mentre il fegato filtrava le scorie del giorno prima.
<Hai capito la domanda?> S’irritò il vice questore Fournier, spalancando la portiera della Lamborghini Gallardo.
Amadeus Falco si fermò prima di sbatterci contro.
<La stampa non fa altro che telefonare in centrale>. Lo informò il vice questore Fournier, piazzandosi davanti a lui. <Stiamo facendo la figura degli idioti>. S’incazzò di nuovo. <Trovami questo stronzo o ti spedisco a lavare i cessi>. Lo minacciò. <Ci siamo intesi, Falco?>
L’ispettore lo fissò con i suoi occhi castano-verdi. <I tecnici stanno completando l’analisi dei filmati di una telecamera esterna al supermercato cinese>. Tagliò corto Falco. <Conoscerà la sua faccia in tarda mattinata>.
Il vice questore Fournier non aggiunse altro, risalì in macchina e ordinò all’agente alla guida di accendere la sirena. Doveva incontrare il dirigente superiore, tenere una conferenza stampa e valutare le varie richieste dei network televisivi.
Amadeus Falco seguì con lo sguardo la Lamborgini Gallardo finché non la vide scomparire. Poi s’infilò l’auricolare e terminò la sua corsa lungo l’argine del Tergola. La sua vita scorreva come l’acqua di quel fiumiciattolo. I dislivelli del fondale creavano piccole cascate dove i pesci guizzavano in superficie, le libellule volavano a bassa quota e i pescatori incalliti mettevano alla prova la loro salute.
Rientrò in casa, azionò il bollitore dell’acqua, prese l’infuso di tè bancha e lasciò le foglie immerse per cinque minuti. Le sue proprietà diuretiche e lo scarso contenuto di teina gli avrebbero depurato il sangue. La sua adesione al pensiero olistico giapponese lo portava a concepire il cibo come una sorta di campo energetico che inevitabilmente influenzava l’essere umano quando lo assumeva. Scatolame e cibi confezionati erano aboliti dalla sua cucina. Se voleva un fisico sano doveva partire dal cibo, trovare un corretto equilibrio tra lo yin e lo yang, questa era la sua regola di vita.
Mise due fette nel tostapane e andò a rinfrescarsi.
L’idea di togliersi dalla polizia lo allettava, mentre l’acqua della doccia gli correva lungo la schiena. Aveva dei soldi da parte, poteva aprirsi un’agenzia investigativa; qualche caso di gelosia coniugale da sbrigare, un orario preciso e un ufficio lontano dal vice questore Fournier.
Uscì dalla doccia, s’infilò l’accappatoio e andò in cucina. Il suo pane tostato era pronto. Tirò fuori la marmellata di mele cotte che aveva preparato la settimana prima e la spalmò sui toast. Il sapore delicato del tè bancha gli allentò la tensione al primo sorso.
Conosceva il vice questore Fournier da un anno. Era subentrato a quello precedente grazie alle sue conoscenze politiche, rivelandosi subito un burattino al servizio del potere. I leccaculo come il commissario Speranzoso avevano già ottenuto gli avanzamenti richiesti, mentre lui era rimasto nel suo buco a fare turni raddoppiati. Non era piaciuto al vice questore fin dall’inizio. Aveva troppo intuito, troppa precisione per fare il poliziotto e i pestaggi non erano la sua specialità.
Guardò il cumulo di letame all’angolo sinistro del suo orto macrobiotico. Vittorio, il suo vicino, gliel’aveva portato da due settimane, ma lui non aveva avuto ancora il tempo di concimare i suoi ortaggi. Voleva prendere il telefono, chiamare la Questura e dare le dimissioni.
S’infilò una fetta di pane tostato in bocca e cominciò ad assaporare la marmellata di mele lentamente.
Lo avrebbe fatto, avrebbe consegnato quelle stramaledette dimissioni se non ci fosse stato quel caso in sospeso. Chi aveva ridotto quei due figli di puttana in quel modo? Che volevano dire con  la parola Mama? Il vice questore aveva parlato di ‘Elefante’ tra le loro frasi sconnesse? C’era un eroe in giro o si trattava di un pazzo pericoloso?
Falco sapeva per esperienza che i più grandi episodi di follia erano ispirati dal delirio di giustizia.
Non poteva lasciare un caso a metà. Il commissario Speranzoso era una testa di cazzo, incapace di pulirsi il culo senza una dozzina di aiutanti pronti a servirlo. Il caso sarebbe stato archiviato e il dubbio lo avrebbe logorato interiormente. Sentiva la necessità di ordinare i fatti, di riportare gli elementi al loro giusto equilibrio.
Aprì il frigo, prese il termos con la crema di cereali, la vaschetta di plastica colma di insalata e li infilò nella sua borsa per il pranzo. Nel suo ufficio c’era la registrazione della telecamera esterna. L’agente scelto Marco Zaghetto gli aveva lasciato il messaggio in segreteria. Avrebbe iniziato la sua giornata da quella.           
S’infilò una camicia bianca, giacca e pantaloni  di lino ecrù e i mocassini di pelle scamosciata al posto dell’uniforme estiva  di servizio. Poi aprì il suo cassetto delle cravatte e scelse quella di seta jacquard bianca con strisce nere e bordeaux, la sua passione. Prese le chiavi della Peugeot 207 XS  blu metallizzato e mise in moto. Il Cd dei Nickelback partì automaticamente.
 I’m driving black and black
Just got my license back
I got this feelings in my vein this train is coming off the track
I’ll ask polite the devil needs a ride
Because the angel on my right ain’t hanging out with me tonight

Cantava la voce roca e potente di Chad Kroeger mentre la Peugeot correva verso il centro della città.   

giovedì 12 dicembre 2013

La Voce dell'Isola recensisce il Teschio di Baphomet

Il Quotidiano on line La Voce dell'Isola ha definito il nuovo romanzo di Joe Lake "Il Teschio di Baphomet" un romanzo a elevata tensione emotiva.

"Il teschio di Baphomet è un romanzo a elevata tensione emotiva. Confluiscono, effettivamente, in questa nuova fatica della giornalista freelance e scrittrice Joe Lake psicologia, azione, suspense.L’autrice, centellina e condisce con profonda sapienza questi ingredienti, che rendono gradevole la narrazione e piacevole la lettura." Così il critico Massimiliano Magnano lo ha definito nella sua splendida recensione.

Per continuare a leggere l'articolo, andate al link:
http://www.lavocedellisola.it/2013/11/29/il-teschio-di-baphomet-romanzo-a-elevata-tensione-emotiva/



martedì 3 dicembre 2013

1° PREMIO al Romanzo di Joe Lake

Il Club degli Scrittori e dei Lettori ha assegnato il Primo Premio al romanzo "Il Teschio di Baphomet" di Joe Lake, Edizoni Del Faro per essere stata l'opera più votata dai 2.150 lettori e più lettori del blog.

Un grazie infinito per questo inaspettato e splendido premio sia agli organizzatori che a tutti i votanti!




giovedì 28 novembre 2013

Il Teschio di Baphomet recensito su "Il Piacere di Scrivere"

Un ringraziamento particolre va al  blog Il Piacere di Scrivere , che  ha accolto con entusismo il romanzo Il Teschio di Baphomet  della scrittrice Joe Lake, accogliendolo nella sua rubrica di libri consigliati e proponendone una sinossi nuova ed originale che pone l'accento sulla figura dell'ispettore Amadeus Falco alle prese con "un caso, che all'apparenza sembra di ordinaria amministrazione: due spietati rapinatori intenti a derubare l'incasso in un supermercato cinese, vengono trovati agonizzanti sul pavimento dello stabile. Pare siano stati colpiti da un'arma insolita ad opera di un misterioso giustiziere, ma ..."

Per saperne di più andate al link:  http://ilpiacerediscrivere.it/leggere-gratis/


E cliccate sulla copertina : 'Il Teschio di Baphomet' ... leggerete una recensione straordinaria.





lunedì 11 novembre 2013

Splendida foto

Un grazie di cuore a Riccardo che mi ha gentilmente inviato questa bellissima foto da lui scattata in omaggio al mio ultimo romanzo "Il Teschio di Baphomet" e per le significative parole che mi ha dedicato, espressione del suo gradimento per la lettura della mia ultima fatica edi incoraggiamento a continuare nella mia passione...




sabato 19 ottobre 2013

SUGAR PULP FESTIVAL




Il 4-5-6 ottobre si è tenuto a Padova il Festival della cultura letteraria pop dal titolo SUGAR PULP, un evento che, in pochi anni, ha catalizzato un numero sempre crescente di autori e di estimatori, diventando uno degli eventi più interessanti nell'ambito della letteratura contemporanea.
Grandi momenti di incontro, riflessione e dialogo tra autori e pubblico durante i numerosissimi appuntamenti tenutisi in queste tre giornate.
"SUGAR PULP" è diventato l'emblema delle mille sfacettature  dell'arte letteraria e della cultura pop: si spazia dalla giovane fantascienza italiana, con l'incontro di autori, come Luca Pavan, Davide Corsi e Franca Pardan, alla trasposizione del romanzo nel cinema, con l'intervento di famosi autori, quali: Tim Willocks (conosciuto per "L'UOMO VENUTO DAL MARE"), Massimo Carlotto (del film "ARRIVEDERCI, AMORE, CIAO") e Nicolai Lilin (del film "L'EDUCAZIONE SIBERIANA") fino a temi scottanti e attualissimi, quali il fenomeno del femminicidio che sconvolge quotidianamente la realtà del nostro paese, con l'intervento di personaggi noti ai media, come la criminologa  Roberta Bruzzone.
 Non poteva mancare a questa "maratona delle lettere" la giovane scrittrice di thriller gotico-fantasy, Joe Lake con il suo secondo romanzo da poco presente in tutte le librerie, IL TESCHIO DI BAPHOMET, un libro che sta riscuotendo un crescente plauso di pubblico e critica per il suo stile che viene definito da molti: "nuovo, originale, quasi cinematografico".

Massimo Carlotto e Nicolai Lilin
La scrittrice Joe Lake
Lo scrittore Tim Willocks
Il teschio di Baphomet

martedì 1 ottobre 2013

Un successo per il "TESCHIO DI BAPHOMET " al Festival di Mantova


 Il Festival di Mantova attira ogni anno migliaia di appassionati lettori e cultori letterari dei generi più svariati.
E' il festival delle novità che lascia molto spazio ai nuovi scrittori da tutto il mondo.
Quest'anno, tra i vari incontri ed eventi che hanno animato la città era presente anche il thriller fantasy "Il Teschio di Baphomet" della scrittrice Joe Lake, al suo secondo romanzo.
 Ben accolto  da pubblico e critica , il libro ha riscosso un grande interesse, sia per la trama che per la scrittura sciolta e originale, vendendo moltissime copie.
"Un assaggio di prova che ha segnato un ottimo inizio" ha commentato la scrittrice, prima di lasciare il campo alle due scrittrici cubane Wendy Guerra e Karla Suàrez che hanno tenuto il loro incontro presso il Teatro Ariston, sul tema "Diaspora interiore" della società cubana e la condizione della donna.
Altri nomi illustri hanno partecipato alle giornate del Festival, da Dacia Maraini a Corrado Augias, dal maestro e giornalista del giallo Carlo Luccarelli a Melania Mazzucco, per finire con Beppe Severgnini.

mercoledì 18 settembre 2013

IL TESCHIO DI BAPHOMET ALLA MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA

Si è da poco conclusa la 70esima Mostra del Cinema di Venezia ed anche il Teschio di Baphomet, l'ultimo romanzo della scrittrice Joe Lake è sbarcato al Lido trovando il successo di pubblico e critica nonchè il vivo interesse di registi, attori e sceneggiatori, grandi protagonisti di questa manifestazione conosciuta ed apprezzata in tutto il mondo.
Di seguito le foto:

La scrittrice Joe Lake e il suo ultimo romanzo



Joe Lake e il regista, maestro del brivido, Ivan Zuccon
Joe Lake con l'attore Matteo Tosi
Joe Lake con lo sceneggiatore Luca Settimo